L’artista milanese si è superata nella rappresentazione dei Tre Lai del grande Testori. E’ accaduto il 24 maggio quando l’attrice è andata in scena in Erodiàs e Mater strangosciàs
Per una sola serata (il 24 maggio), a conclusione di una lunga tournée, è stata offerta la possibilità di assistere nella sua forma completa alla rappresentazione dei Tre Lai di Giovanni Testori. Protagonista una superlativa Anna Della Rosa in scena con Erodiàs e Mater strangosciàs, un progetto di Sandro Lombardi, per cui le è stato assegnato il prestigioso premio della Critica 2024, assegnato dalla Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, e Cleopatràs, una potente “rimessa in scena” in forma di concerto della Cleopatràs interpetata nel 2023 con la regia di Valter Malosti.
Giovanni Testori (1923-1993), intellettuale, drammaturgo, regista, brillante e acuto critico d’arte , pittore lui stesso, scrisse i Tre Lai, negli ultimi mesi della sua vita. Pubblicati postumi nel 1994 da Longanesi, rappresentano il culmine della sua scrittura più intima e provocatoria. Si tratta di tre intensi lamenti funebri, affidati a tre personaggi femminili, che piangono un’assenza, di fronte al mistero della morte che si incarna nel corpo dell’uomo che più hanno amato: Cleopatra per il suo amore perduto, Antonio; Erodiade per Giovanni Battista; Maria per suo figlio Gesù morto in croce. Tre Lai disperati di lacerante bellezza. E tuttavia quel dolore è strettamente mescolato a una rasserenante riscoperta degli incanti della vita.
Un trittico che Sandro Lombardi, uno dei fondatori della compagnia teatrale Il Carrozzone, uno degli artisti più carismatici e poliedrici del panorama teatrale, ha portato in scena nel 1998 con la regia di Federico Tiezzi. Uno spettacolo amatissimo. E ha sentito il desiderio di affidare, consegnare oggi, i segreti di quella sua interpretazione storica ad Anna Della Rosa, attrice talentuosa che spicca da sempre per intensità ed eleganza, dopo averla vista in Cleopatràs, messa in scena da Valter Malosti nel 2020 in cui lei era protagonista. Un dono. Un passaggio di consegne come accade nella tradizione del teatro orientale ai grandi maestri. “Quando Sandro mi ha proposto di consegnarmi la sua interpretazione dei Due lai, mi si è allagato il cuore per l’emozione e per la consapevolezza fulminante della generosità e dell’eccezionalità del suo gesto. È un dono straordinario. E mi sono impegnata con gioia e dedizione assoluta per restituirlo al pubblico”, racconta l’attrice milanese.
Testori vuol dire l’incontro con una lingua vertiginosa. Un impasto potente che mescola in un calderone sorprendente dialetto brianzolo con la lombarda desinenza “as” (come richiamo al suono così familiare nei toponimi Valassina, Asso, Lasnigo), arcaismi, latinismi maccheronici, e neologismi, francesismi, giochi di parole, invenzioni linguistiche, ironiche storpiature spagnoleggianti che ne torcono desinenze. Una lingua insieme antica e nuovissima, solenne e infantile, sacrale e blasfema, alta e popolana, coltissima e volgare, elegante e indecente, scabrosa e sensuale. Tra preghiera e imprecazione. Distorta, deformata, reinventata, smodata, straziante, tenerissima, spinosa e scomoda. Una lingua impervia, oscura. Dalla comprensione, ardua a volte. Una lingua che è qualcosa di assolutamente unico nella nostra letteratura. Una lingua viscerale che “prima di essere compresa con l’intelletto abita e risuona nella nostra carne sangue”, come dice Sandro Lombardi. Anna Della Rosa fa della della parola poetica di Testori uno spartito di straordinaria potenza. Una partitura vocale ipnotica, stratificata, in cui parole e voce si compenetrano con naturalezza vertiginosa. Un conato, di sillabe, di frasi spezzate e trascinate dalla piena. Simili a un torrente in procinto di esondare. “Interpretare una drammaturgia testoriana significa giocare con la parola, con il suono. La lingua di Testori chiede al muscolo della lingua precisione, al muscolo del cuore sangue”, osserva Anna Della Rosa. Attrice talentuosa, si rivela anche cantante sorprendente quando canterà alcuni brani musicali: Il cielo in una stanza, a fior di labbra; con un filo di voce, Quando nel cielo spunta la prima stella, una vecchia canzone popolare lombarda; in tono giocoso, un brano della tradizione ebraica Hāvā Nāgīlā; con sarcasmo comico Ehi tu, mamaluk (” dove vuoi arrivar? Tu vorresti farmi pianger, Invece mi fai ridere”). Perché nella scrittura di Testori il tragico e il comico si compenetrano. “Anna carissima, due parole adesso che stai per andare in scena, questo che ti consegno è quanto resta di un mio spettacolo…”. Inizia così lo spettacolo mentre fuori campo si sentono le parole di Sandro Lombardi rivolte ad Anna Della Rosa. Lo spazio scenico è essenziale, quasi vuoto. Un trono, una sedia con un drappo sporco di sangue che, disteso, diventerà poi il Cristo morto nell’ultimo dei Lai.

Cleopatras
Un testo in cui amore e morte, ironia e disperazione, giungono ad un punto di fusione incandescente e poeticissimo. Un concentrato di quella furiosa carnalità e poesia assoluta, musicale nelle sue straordinarie cacofonie. La storia è espressa nella lingua sanguigna e originalissima di Testori, un lombardo arcaico e reinventato. L’Egitto di Cleopatra è trasferito nella Brianza, nella tanto amata Valassina. (a Sormano era nato suo padre, Edoardo. A Lasnigo sua madre Lina). La scandalosa Cleopatràs è “reina troia” di Lasnigo, dominante, energica e determinata, una regina con la ruvidezza volgare di una battona di second’ordine, la “gaina”, dalla sensualità golosa e ironica, che urla beffarda e disperata la morte di Antonio , il suo “Tugnàs”, il corpo di Antonio, i suoi muscoli, i suoi capelli, le “oregge”, financo il suo “divino puberas”. Si dispera, impreca, maledice tutto ciò che si può maledire. Ricorda i tempi lieti quando era la reina delle puttane e per lei “tiravano” / “gli imperatori tutti” / “e tutti i re”. Ora invece è una “reina svedovata / e martoriata”. Anna Della Rosa in questo monologo “in forma di concerto” ci regala una interpretazione rabbiosa, regale, sempre sull’orlo di una straziante e perturbante ironia. Immergendosi in un flusso verbale che non concede mai tregua. In un parlar velocissimo e vorticoso, capace di sostenere, nel corpo a corpo le fantasmagoriche creazioni linguistiche, le provocazioni del testo, versi insieme sublimi e osceni. La sua Cleopatràs è sì un lamento d’amore per il suo Antonio, ma soprattutto un inno per la “porca, dolcissima, durissima, infingarda, ladra e divina vita”. Prima di giungere al “niento”.
Erodiàs
Senza cambiamenti di scena, Anna Della Rosa adesso è scalza, indossa un frac maschile, la camicia bianca ha grandi polsini. Siede su un tronetto, duro, povero, essenziale. Prigioniera di un amore allucinato e folle che si perpetua proprio nell’impossibilità. Alle sue spalle, un festone di lampadine da festa di paese, da luna park che si accendono a intermittenza. A terra, la testa decapitata del Battista. Tutto il lamento di Erodiàs si svolge tra stacchi drastici, fra spegnimenti e accensioni delle luci, come se saltassero degli interruttori o crollassero dei relais (disegno luci di Vincenzo De Angelis). È il vardare e revardare di Erodiàs verso la testa mozzata del Battista. La voce di Anna Della Rosa emerge da tutto il suo corpo corpo quando si accinge a recitare i primi due versi di Erodiàs, quell’invocazione piena i rabbia e desiderio a Giovanni Battista «Jokanslaàn! / Slanjokaàn!». Erodiàs, la concubina di Erode, la madre di Salomé, si rivolge alla testa mozzata (in cartapesta) del profeta , che sta ai suoi piedi. Si avvicina a quella testa e parla a Giovanni Battista come fosse vivo. Inizia il suo lamento, sprofondata in una volgarità rauca e rancorosa, con voce profonda e scura, piena di graffi, tra rimorso e delirio, ricordo e tormento. Piange la testa del Battista, la “mascula barba” e la “insanguinada lengua” del suo Giuan, troppo bello, muscoli e randello compresi. Repentini scarti d’umore spostano di continuo il clima scenico dai toni alti della tragedia a un clima guittesco da teatro di varietà e a un canto d’amore: appassionato, struggente e disperato. Aveva cercato di sedurlo: invano. Mortificata, furente per il rifiuto oppostole, gonfia di risentimento, Erodiàs si scaglia anche contro quel Dio che vuole redimere i mali del mondo, scegliendo i poveri, gli sventurati, i miseri della terra, “un scief/ un capo/ de reietti e calpestati…/ dei ciechi, dei ciavati /e mutulati”. E “l’integra povertà”. Poi la furia iniziale fa emergere un profondo dolore, per sfumare infine in un lento delirio. Erodiàs canta e danza. Erodiàs diventa Salomè. La danza di seduzione di Salomé viene fatta propria con “Hāvā Nāgīlā”, canzone ebraica che invita alla gioia, “Rallegriamoci e siamo felici”.
Mater strangosciàs
Non c’è nessuno stacco fra la fine dell’Erododiàs e l ‘ultimo lamento. L’Hāvā Nāgīlā; sfuma in un vecchio canto popolare lombardo che comincia “Quando nel ciel spunta la prima stella,, ricordati di me”. A vista si compie la trasformazione di Anna Della Rosa nella dolente, umanissima Mater Stangosciata, Maria di Nazareth, Madonna della Valassina brianzola, una semplice, umile contadina. Via la giacca maschile, sciolti i lunghi capelli, l’attrice si arrotola le maniche della camicia fino ai gomiti e prende un lenzuolo arrotolato e posto sulla sedia presente in scena . Apre il telo, lo depone a terra, lo abbraccia. Parla a uno straccio insanguinato, come se fosse ancora avvolto in quel sudario, il suo Gesù. Se Erodiàs parla con un morto (Giovanni Battista) credendo sia vivo, la Mater strangosciàs è consapevole che suo figlio è morto e che lo sta salutando per l’ultima volta (l’ultima basada), e , mentre impasta il pane, interroga e piange il Figlio morto, ne chiede ragione del suo estremo sacrificio e del patimento dei viventi. Vuole capire come sia potuto accadere che quel bambino, che correva nell’aia della loro casa, ora sia morto inchiodato a una croce. Il dolore si è pacato e riempito di tenerezza, in un accento di umanissima pietà senza rinunciare all’ironia, alla provocazione: “Lo capissi mo’/ che t’hanno tutti/ un po’ fottuto?”, ricorda Maria nel colorito linguaggio testoriano, “la vita, sì, / l’è ‘na ciavada”, / ma resurrezionada”. Sì, qualcosa resiste: la fiducia nel domani. Che non viene mai meno, neanche nella disperazione più buia. Lei è lì, :con il figlio, con il Cristo reietto, con l’umanità tutta, per riscattare tutto quel dolore, come se invocando instancabilmente il figlio, la Madre avesse trovato il modo, l’unico possibile, di ripristinare e rinnovare il legame indissolubile, quel filo tenero e sacro che è la vita, indissolubilmente legata alla morte che è l’atto misterioso e supremo della vita stessa.
Serata di grande teatro, con Anna Della Rosa richiamata in scena dai ripetuti applausi, mentre dagli amplificatori si diffonde nell’aria la Bohemian Rhapsody di Freddy Mercury, che Testori malato, alla fine, ascoltava in continuazione.