Il referendum indetto dalla Cgil sull’abolizione del Job Act non ha avuto l’esito sperato. Non avendo superato la soglia del 50% degli aventi diritto è stato invalidato, ma alcune riflessioni vanno fatte. Negli anni ’70, ’80 e ’90 le battaglie sui diritti civili ebbero grande successo. L’8 e 9 giugno il tema sul lavoro è stato ignorato dal 70%. Un diritto civile è passato come una battaglia politica, dimenticandone la sua trasversalità. Ci sono delle responsabilità
Il quorum, nel latinorum politico il numero “dei quali” c’è bisogno per determinare la validità d’un voto, è diventato l’inafferabile Araba fenice che sfugge o concretamente fugge dalle urne per invalidare l’istituto referendario. A tratti usato e poi abusato, da chi come i radicali non praticava attivismo politico nei territori e si richiamava a princìpi sui diritti, quasi sempre sacrosanti ma non sempre vissuti sulla pelle e impiantati nel cuore della popolazione. Taluni radicali valorosi (Maria Adelaide Aglietta, Gianfranco Spadaccia) non ci sono più e non c’è più neppure chi della Rosa nel pugno fece un principato (Marco Pannella) senza la lungimiranza di certi principi, che non dovevano sostituire i princìpi per i quali ci si batteva, coi propri paggetti autoreferenziali (Francesco Rutelli, Benedetto Della Vedova, Daniele Capezzone) plasmati a misura servile del protettore. Così in fatto di quorum le battaglie civili sui grandi referendum (1974 divorzio, 1978 finanziamento ai partiti, 1981 aborto, 1984 scala mobile, 1987 nucleare, 1991 preferenze Camera, 1993 legge elettorale, 1995 privatizzazione Rai) ottenevano dall’87% al 57% del benedetto quorum. Vincevano i sì, vincevano i no, ma gli elettori s’esprimevano. Fino all’inaridimento dei rapporti fra partiti, elettorato e temi trattati. Dal 1997 il quorum diventa maledetto, per chi indice i referendum, o benedetto, per chi vuole boicottarli usando la lontananza dai seggi che comporta il fallimento della consultazione. Con l’eccezione d’un quorum valido (54,8%) su una questione sentita, sentitissima: la conservazione del bene pubblico dell’acqua. Referendum stravinto con 25 milioni e 900mila voti (95,35%), poi successivamente tradito dagli organi legislativi e di controllo dello Stato che hanno consentito a rendere l’acqua fonte di profitto per aziende pubbliche e private. Simili situazioni sono pugnalate all’anima di elettori e cittadini per il doppio comportamento di rendere insignificante la consultazione diretta e per permettere lo scempio abusivo che è il furto d’un bene primario, patrimonio del genere umano. Così Politica e Impresa hanno azzoppato lo strumento referendario. Sbiadito, considerato sterile dai pessimisti, ma divenuto inefficace per via degli attentati alla validità impiegati dai boicottatori. E chi sono gli affossatori dei cinque quesiti dell’8 e 9 giugno? Non solo i partiti che hanno espresso ufficialmente la propria intenzione distruttiva (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Italia Viva), ma parecchie singole presenze fra l’elettorato dei partiti d’opposizione, cioè i sostenitori dei cinque referendum. Poiché soprattutto sui temi di difesa dei diritti dei lavoratori, una certa tipologia di elettori, gli imprenditori presenti nel Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa avranno fatto mancare la propria partecipazione alle urne. E’ un cattivo pensiero? Certo, ma plausibile non solo a naso. Basta rifarsi alle percentuali di sostegno delle ultime elezioni politiche (Pd 19% M5S 15,5 % Verdi e Sinistra 3,6, +Europa 2,9 per un totale del 41%). Ma oggi famosi sondaggisti (usiamo quelli dell’Ipsos del 30 maggio scorso) danno le percentuali di questi gruppi del centrosinistra in crescita (45,5%). E visto che un pezzo (vogliamo calcolarlo attorno a un 5%, ma potrebbe risultare anche più ampio) di astensionisti cronici, poiché disgustati dalle pluritrentennali comparsate del centro-sinistra, in quest’occasione hanno votato per coscienza e sostegno ai diritti di lavoratori e per la cittadinanza, chi ha sgambettato il quorum?
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it