Un poster con il volto di Ali Khamenei, Guida Suprema dell'Iran

Chi succederà alla Guida Suprema in Iran non sarà il figlio Mojbata. Gli analisti, oggi, ritengono che, nonostante le apparenze e la tradizione filo khomeninista, sia il partito dei militari a guidare il Paese, pur fra contraddizioni e gravi crepe nella sicurezza

Ottatantasei anni, alcuni vissuti pericolosamente nel conflitto con l’Iraq da cui comunque tornò vivo, pronto per ricoprire l’incarico teologico-politico ricevuto direttamente dal Ruhollah Khomeini, il padre della Rivoluzione islamica in Iran. Ali Khamenei è da trentasei anni la Guida Suprema dalla dipartita del suo mentore. In quel ruolo il prescelto era un altro Ali, Montazeri, decisamente più anziano (era nato nel 1922, Khamenei diciassette anni dopo) ma soprattutto era un grande ayatollah. Un Marja’-e taqlid che sta per “fonte di emulazione” per i fedeli e per il clero sciita stesso. Eppure negli ultimi mesi di vita di Khomeini, Montazeri iniziò a polemizzare con lui attorno a princìpi che il Rahbar considerava imprescindibili per il futuro nazionale. Centrale era il velayat-e faqit, cioè la tutela che il giurisperito offre alla Umma sciita e all’intera conduzione politica della comunità. Una funzione che affonda le radici nei dogmi religiosi di quella religione, ma che Khomeini imponeva contro il parere di altri ayatollah, fra cui appunto Montazeri. Prima di quest’ultimo strappo, la diversità di vedute con l’iniziale Guida Suprema riguardavano faccende interne ed estere. Montazeri criticò le copiose esecuzioni capitali compiute su particolari detenuti politici, quei Mujaheddin-e Khalq che nella fase di lotta per il potere (1981-82) pur avendo compiuto odiosi attentati dinamitardi rivolti ad autorità del clero e cittadini comuni, a detta di Montazeri non dovevano ricevere un simile trattamento. Suoi anche i dubbi verso l’esportazione della Rivoluzione Islamica, criticava i finanziamenti di gruppi all’estero, quelli che negli anni seguenti avrebbero rappresentato gli alleati o i proxies di Teheran. Khomeini stroncò l’ex compagno di lotte contro lo Shah e gli preferì un Hojatoleslam, un turbante di medio livello qual era appunto Khamenei, trovando l’appoggio d’una maggioranza di ayatollah nell’Assemblea degli Esperti (88 ayatollah) l’organo che dal 1982 designava la Guida.

I continui attacchi di Israele hanno causato 1800 feriti in Iran

Ora, sotto le bombe d’Israele che sconquassano il Paese, è Khamenei a pensare a un delfino. Che non sarà il cinquantaseienne, suo secondogenito Mojbata, chierico come lui non d’alto rango, pur avendo seguìto i corsi d’importanti teologi: i grandi ayatollah Mesbah-Yazdi e Safi Golpaygani, ultraconservatori scomparsi fra il 2021 e 2022. Dal Gotha politico iraniano trapelano orientamenti, ma nessun nominativo, una sola certezza: non ci sarà successione fra padre e figlio. E chi, in un’ipotetica caduta del regime, pensa che i Khamenei potrebbero riparare all’estero, come hanno fatto tanti clan geopolitici, valuta l’esclusione dagli incarichi funzionale alla fuga degli epigoni di famiglia. In realtà nei desideri degli oppositori, la scomparsa di Khamenei è stata sperata (e annunciata) in più occasioni, soprattutto a seguito dell’intervento chirurgico per un tumore alla prostata che gli fu praticato anni addietro. Finora l’uomo non è morto. Anzi. Ha continuato a rappresentare un passato legato al khomeinismo, e s’è opposto al tentativo di marginalizzazione del clero dall’effettiva direzione del Paese, palesato dall’ingegnere basij Mahmud Ahmadinejad. Eletto presidente nel 2005 con lo sponsor di ayatollah ultraconservatori fra cui proprio Mesbah-Yazdi, Ahmadinejad si trovò a cavalcare un orientamento del laicismo pasdaran che voleva sbarazzarsi della centralità politica degli ayatollah, facendo trasparire l’idea di emarginarli con tutto ciò che ne conseguiva attorno al sistema di organi come l’Assemblea degli Esperti e la Guida Suprema. La tendenza non prevalse, lasciando il posto all’ennesimo compromesso fra turbanti e divise,  intenzionati a spartirsi il potere politico nel Majlis ed economico con le Bonyad. Oggi gli analisti ritengono che nonostante le apparenze e la tradizione filo khomeninista, sia il partito dei militari a guidare l’Iran, pur fra contraddizioni e gravi crepe nella sicurezza, ampiamente sfruttate dal Mossad e dai loro emissari interni.  

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022 • L'Intagliatore 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *