Aida Muluneh, "Non mi conoscono", "Ecco dove sono" 2022, commissionato dal Public Art Fund

Sono in mostra per la prima volta e in esclusiva a Milano alla Galleria Playlist fino al 30 luglio, dieci quadri fotografici dell’etiope Muluneh

Incantano le sue figure femminili ieratiche, solenni e misteriose, di una fisicità immateriale, con volti di conturbante bellezza , e sembrano custodi e fiere di memorie ancestrale, immobili fra un restare e un partire, in costruzioni geometriche rigorose come i dipinti rinascimentali e il silenzio degli spazi della pittura metafisica. Dieci quadri fotografici di Aida Muluneh (o anche fotografie pittoriche) di straordinario impatto visivo e cromatico, meticolosamente costruiti, attraverso una preparazione ed un’organizzazione degne di un set cinematografico, che frantumano stereotipi e cliché su un continente africano ben più vitale e originale di quanto non appaia sui grandi media. Sono in mostra per la prima volta e in esclusiva a Milano alla Galleria Playlist di Giampaolo Abbondio dal 12 giugno fino al 30 luglio: un’occasione preziosa per scoprire la fotografa etiope (Adis Abeba, 1974) di fama internazionale, artista visionaria che ha contribuito a cambiare la percezione del continente africano. Lontana dai cliché che spesso vediamo nel modo in cui è rappresentata l’Africa post colonialista (guerre, povertà ed esotismo ) ma mai dalle urgenze della sua realtà, Aida Muluneh, “ridisegna” l’Africa contemporanea con un linguaggio visivo sorprendente e inconfondibile, che racchiude gli stimoli visivi e intellettuali di una lunga erranza fra l’Africa e l’Occidente e viceversa.

Aida Muluneh “Se mi prendono la mattina” in Ecco dove sono, 2022, commissionato da Public Art Fund

Il titolo della mostra personale Homeless Wanderer (vagabondo senza fissa dimora) è ispirato a un brano di Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou, la cui composizione per pianoforte evoca un senso di sradicamento, un tempo perduto, una patria perduta. (scomparsa nel 2023 a 99 anni, fuggita dalla dittatura in Etiopia, trascorse la sua vita in un monastero della chiesa ortodossa etiope di Gerusalemme). Aida costruisce superbe “scenografie , capace di coniugare perfezione estetica e profondità espressiva, ordinarietà e straordinarietà, estremo realismo e mistero, fotografia e cinema, quotidiano e teatralità. Come sottolinea Jacqueline Ceresoli, nel suo testo critico che accompagna ed introduce le opere: “le sue fotografie sono finestre visionarie che ci costringono a vedere un’Africa altra: enigmatica, rituale, sublime. Una terra che migra e resta al tempo stesso, abitata da dee senza tempo e senza luogo”. Una messa in scena silenziosa e potente. Curata nel minimo dettaglio, densa di riferimenti alla “teatralità” del cinema”. Ogni fotografia è attentamente progettata e meticolosamente costruita, con tanto di truccatori e stilisti (è l’attuale tendenze della fotografia contemporanea, la cosiddetta “staged photography”) ma la magia della creatività non può essere calcolata scientificamente, è come una manifestazione spirituale, dice. Tanto dettagliata quanto onirica, a tratti surrealista, nella ricostruzione complessiva. Una tavolozza cromatica ​​incredibilmente audace, il verde, il giallo e il rosso (colori della bandiera nazionale), il blu: colori primari, ispirati anche i dipinti della chiesa ortodossa in Etiopia, la cui vividezza è resa con una texture pittorica.

Traendo ispirazione dalle sue radici etiopi, Muluneh incorpora antiche pratiche di body painting diffuse in varie parti dell’Africa, decorando i visi con una linea verticale di punti neri che va dalla fronte al mento, creando meditazioni vividamente surreali sull’identità, fra appartenenza e migrazione “per mostrare le persone come personaggi privi di nazionalità ed etnia, come tabulae vuote”, spiega l’artista. Fervente sostenitrice dei diritti delle donne, l’artista mette spesso figure femminili al centro delle sue fotografie, ritraendole come potenti, enigmatiche, capaci di plasmare il proprio destino. Le parole chiave sono orgoglio, forza e consapevolezza di sé, evocate anche dall’ uso dei colori: il rosso vibrante forza e vitalità, il blu evocativo di spiritualità e introspezione. “Spesso mi chiedono perché i personaggi delle mie immagini siano donne – ha dichiarato in una recente intervista – e la mia risposta è semplice: sono una donna e provengo da una storia e una cultura in cui le donne hanno sopportato molto ma allo stesso tempo hanno svolto ruoli significativi come nutrici, guerriere e figure spiritualiste. E stiamo mantenendo la nostra forza e dignità, nella consapevolezza che siano centrali nel tessuto della società. Questa prospettiva plasma naturalmente il mio lavoro e il modo in cui scelgo di rappresentare il femminile, come rigenerante, presente ed essenziale”. Aida stessa è quasi sempre il soggetto delle sue opere, lei entra nell’opera, è parte di essa, la interpreta, vale a dire, “si fa opera”, partecipando, attraverso i colori che le dipingono il volto, al messaggio artistico nella sua interezza. Ricche di simbolismo, le opere di Muluneh impiegano oggetti come chiavi, sedie, un’insera, il vaso di terracotta per trasportare l’acqua, la tradizionale caffettiera etiope (jebena) come invito al dialogo.  

Aida Muluneh” Creative advocacy”

“La nostra cerimonia del caffè ha un forte valore simbolico… è un punto di ritrovo per discutere, condividere momenti piacevoli e così via”, ha spiegato Muluneh. Quando osserviamo le sue opere siamo davanti ad attimi sospesi. Le sue figure femminili stranianti e immobili mentre compiono un atto preciso in un momento specifico della giornata , come suggerisce ancora la curatrice Ceresoli: “Consacrano la quotidianità alla dimensione del sacro, nella lentezza di un rituale antico a noi occidentali sconosciuto”. Allora cominciamo a capire che al fondo Aida sta rintracciando anche per noi i termini di un ordine sacro e misterioso, quell’ ordine che sopravvive alle frantumazioni e al caos del nostro disordinato vivere contemporaneo. La immobilità si prolunga in durata. Impermanenza del divenire, nel mistero della vita umana sulla terra. E rende cosi indimenticabili queste silenziose dee erranti senza fissa dimora dell’ Africa di Muluneh, incontrate nell’algido white cube minimalista della Galleria di Giampaolo Abbondio. E c’è da aspettarsi il nome di Aida fra gli artisti africani all’edizione 2026 della Biennale d’Arte di Venezia, che seguirà l’impostazione data dalla curatrice camerunese-svizzera Koyo Kouoh, scomparsa improvvisamente il 10 maggio 2025. intitolata In Minor Keys, è dedicata alle tonalità minori, all’ascolto, al sussurro, al silenzio, alla poesia. A connetterci con le frequenze dell’anima.

Info

Galleria Playlist

via Carlo Poma 18
20129 Milano MI
Italia

Telefono

+39 02 00680350

Orari di apertura

Lun-ven 14.00–19.00
e su appuntamento

Playlist è il nome della seconda sede della Galleria Giampaolo Abbondio, dopo quella di Todi, in Umbria.

di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *