Abdullah Ocalan, leader del Partito kurdo dei lavoratori (Pkk) (Credit RAMZI HAIDAR / AFP)

Nel paese della mezza luna c’è un piano di pace, dopo lo scioglimento del Pkk. Almeno è quello che auspicano i Dem. “La mossa ha eliminato tutte le giustificazioni per evitare la riforma democratica”, ha dichiarato la Buldan, la co-presidente del Partito Democratico dei Popoli

Le immagini filmate dell’attacco, nell’ottobre 2024, alle Industrie Turche Aerospaziali alla periferia di Ankara con cinque vittime e ventidue feriti, possono essere archiviate come l’ultimo atto di terrorismo attribuito a miliziani del Partito kurdo dei lavoratori. In realtà si parlò anche dei Falconi della Libertà, una branca autonoma che da anni non seguiva la linea originaria del gruppo propenso a colpire solo militari e poliziotti. Ma le stesse indagini svanirono in favore di quegli incontri con Abdullah Öcalan fortemente voluti dal leader del Movimento nazionalista turco Devlet Bahçeli, che dopo mesi hanno prodotto il recente pronunciamento di scioglimento del Pkk. Una notizia che fa dire a Bahçeli: “L’atmosfera di pace e sicurezza deve essere assolutamente permanente e realistica. La pagina sanguinaria scritta con il tradimento sarà chiusa per non essere mai più aperta“. E ancora: “La palude dei pregiudizi deve essere svuotata, le dispute inventate devono finire, le tensioni pianificate che sono lo stadio di polemiche a buon mercato devono cessare, le parentesi delle ossessioni ideologiche senza princìpi devono essere chiuse”. Del resto due esponenti di vertice del partito filo kurdo Dem hanno dichiarato: “Si va creando un’atmosfera che abbracceremo con speranza” (Pervin Buldan) e “la mossa ha eliminato tutte le giustificazioni per evitare la riforma democratica(Tuncer Bakırhan). Speranzosi tutti, da chi come l’attuale ministro degli Esteri Hakan Fidan ha partecipato di persona agli incontri con lo storico leader kurdo con cui aveva colloquiato anche nei tentativi di accordo del 2010-12; mentre Ali Mahir Başarır, leader parlamentare del principale partito di opposizione (Chp) ha esortato la politica ad “abbracciare il processo” ma di farlo gestire dal Meclisi. Forse accadrà, sebbene i segnali fin qui recepiti dicono che è l’attuale governo a trazione AkpMhp a voler incamerare il futuro vantaggio elettorale da un patteggiamento che significa sicurezza e pace. Così da far dimenticare quel “terrorismo kurdo” che oltre alle quarantamila vittime del decennio 1985-95, in gran parte propri civili, rivisse nel biennio 2015 e il 2016 centinaia di uccisioni di cittadini nei mesi dell’assedio alle località del sud-est anatolico voluto da Recep Tayyip Erdoğan.   

Devlet Bahçeli, Partito del Movimento Nazionalista (MHP) (Credit Afp)

E’ l’alleato nazionalista d’un presidente che deve gestire l’ondata di proteste per l’arresto del sindaco repubblicano di Istanbul Ekrem İmamoğlu ad aver tirato fuori dal cappello del realismo politico un asso vincente per il domani. Perché da esso può scaturire quel ritocco costituzionale atto a sdoganare un’ennesima candidatura del leader islamico  alle presidenziali del 2028. Un ritocco sostenuto dai voti del partito Dem che ora aspetta la riforma cui accennava Bakırhan: federalismo, autonomia nell’amministrazione locale che i sindaci kurdi, nel tempo passati da sigla a sigla per aggirare arresti e persecuzioni, vorranno cementare attraverso il riconoscimento della nuova linea promossa da zio Apo Öcalan. Ora che lui e i suoi uomini non possono più   essere tacciati di terrorismo e auspicabilmente torneranno liberi, tale normalizzazione è attesa col batticuore. E l’asso gettato sul tavolo da Bahçeli è rivolto anche a un bel pezzo d’elettorato repubblicano. Moderato, amante dell’ordine e della patria kemalista che verrà mostrata pacificata e sicura. Un colpo che né il compagno di studi di Bahçeli, l’alevita Kemal Kılıçdaroğlu, segretario del Chp che voleva diventare presidente e due anni fa venne per l’ennesima volta surclassato, e neppure il rampante İmamoğlu hanno pensato d’inserire nel programma di partito: la trattativa coi terroristi. La fedeltà al kemalismo, che storicamente ha usato ma mai amato la comunità kurda, venendone in buona parte ripagato, glie l’ha fin qui impedito. Certo,  pensare ai quasi coetanei Öcalan e Bahçeli – il leader kurdo è maggiore d’un anno o due – discorrere di futuro sembra impossibile. Marxista-leninista e guerrigliero il primo, lupo grigio l’altro e, per quanto figlio di agricoltori e lanciato nella carriera universitaria, attratto dalla politica nella sponda segnata da un colonnello fascistoide, Alparslan Türkeş, creatore del gruppo paramilitare che nei Settanta mise sottoterra migliaia di militanti comunisti e sindacalisti. Eppure il realismo non conosce veti. Almeno in una Turchia in crisi economica ma sorprendentemente al centro d’ogni sorta di diplomazia, visto che Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky giovedì passeranno per Istanbul.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022 • L'Intagliatore 2025

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