Studenti che protestano contro la riforma della premier Ashina

Gli iniziali sei-dieci morti che si sono registrati in Bangladesh, per gli scontri contro il decreto della premier Hasina, si sono centuplicati. Lo scrive il quotidiano bengalese Photo Alo che denuncia 174 uccisioni

Cinque percento agli epigoni degli eroi dell’Indipendenza, ha da poco sentenziato la Corte Suprema, dopo due settimane di rivolta studentesca contenuta prima e brutalmente repressa nei giorni seguenti. Una diminuzione del 25% delle ambìte funzioni pubbliche in Bangladesh, considerato un favoritismo del governo di Sheikh Hasina all’elettorato a lei fedele. Ma gratta gratta, quando i fumi degli incendi si sono diradati, il coprifuoco continua a contenere l’ordine pubblico, l’esercito con armi spianate osserva e minaccia l’andirivieni nelle strade della megalopoli di Dacca, che dopo l’ora convenuta si trasforma in un deserto controllato quartiere per quartiere, crocicchio per crocicchio da migliaia di elmetti in mimetica, viene a galla la cruda realtà. Non solo Abu Sayeed, che nei primi giorni della protesta offriva il petto ai comunque letali proiettili di gomma, è tra le vittime della repressione. Gli iniziali sei-dieci morti si sono centuplicati. Lo scrive il quotidiano bengalese Photom Alo e denuncia ben 174 uccisioni. Alcuni organismi dei diritti umani interessati alla vicenda parlano d’una inusitata violenza poliziesca nella pur breve storia del Paese. Dal 20 luglio le comunicazioni telefoniche interne e dall’estero risultano disturbate, uno stratagemma che consente all’esecutivo di mantenere una parvenza di normalità, impedendo di fatto i collegamenti col mondo.

Un manifestante fermato dalla polizia, durante gli scontri a Dacca, in Bangladesh

Il partito d’opposizione BNP, nazionalista e conservatore, denuncia che fra gli oltre cinquecento arrestati, molti sono giovani bloccati in strada durante gli scontri, si contano anche alcuni loro dirigenti, colpiti dal clima oppressivo in atto. Del resto la premier pur davanti al citato pronunciamento della Corte s’ostina a ribadire la giustezza del decreto contestato dalla piazza; per contro uno dei portavoce degli universitari in rivolta afferma che il movimento non si fermerà finché il Parlamento non azzererà la misura. Ci sono tutti i presupposti perché lo scontro riprenda al di là della stessa vicenda delle quote, visto che la “regnante” come qualcuno definisce Hasina o peggio la dittatrice secondo i manifestanti, da anni al governo con una maggioranza elettorale in odore di brogli e una scarsa partecipazione al voto, non ammette confronto politico. Sicura dell’appoggio della cerchia di categorie protette da misure simili a quella contestata, la leader della Lega Awami non molla il potere davanti a una popolazione ormai in subbuglio socio-economico. Certa anche del sostegno di organismi mondiali, Fondo Monetario Internazionale su tutti, che nell’ultimo biennio le hanno coperto copiosi debiti. Il boom produttivo dell’industria tessile, capace a inizio millennio di lanciare economia e occupazione è in crisi da almeno un quinquennio. Frutto di pandemia e conflitto ucraino, sostengono taluni analisti, a cui altri aggiungono vizi propri di chi si sente sicura del ruolo  che esercita.

La repressione del governo della premier Sheik Hasina, secondo il quotidiano Photom Alo, ha causato oltre centocinquanta morti

Non ascoltare le voci del dissenso, non solo quelle organizzate politicamente, ma direttamente della gente, delle figure sociali, dei tanti giovani fra i 18 e i 24 anni, oltre il 10% della popolazione, che non trovano lavoro. Vedersi preclusi alcuni spazi a vantaggio di chi non fa nulla per raggiungerli, è l’elemento di rottura vissuto in questi giorni. Eppure l’anziana Primo ministro soffia sul fuoco. Lei ha tutelato l’ala giovanile del suo partito, Chhatra League, scesa in strada ad attaccare gli studenti che la contestavano. Ha chiesto al suo ministro dell’Interno di non fermarli mentre assaltavano gli anti-quote. “Hasina lavora per spaccare la nazione” constata  amaramente un navigato osservatore della politica asiatica, e in una comunità popolosa che ha conosciuto miseria nera e parziale ripresa la mancanza di equilibrio è quanto di peggio un politico possa fare.  Sostenere solo una parte della cittadinanza per biechi fini elettorale non può che produrre frustrazione sull’altro fronte. E il Bangladesh sta andando alla resa dei conti con una dirigenza cieca e sorda. Gli scontri e la repressione di questi giorni annunciano conflitti ben peggiori.   

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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