Il Pkk ha deciso dopo alcuni dibattimenti all’interno del congresso, di seguire la linea del loro leader Öcalan, ovvero di uscire definitivamente dal conflitto armato con la Turchia
Del marxismo storico, cui si richiamava fin dalla nascita nel 1978, il Partito dei lavoratori kurdi va a conservare l’arma della critica abbandonando quella delle armi. Infatti è attesa a momenti la sua definitiva uscita dal conflitto armato con la Turchia. L’ha deciso un congresso interno dibattendo, con due delegazioni separate riunite per tre giorni in località diverse, l’invito del leader Abdullah Öcalan. Dopo svariati incontri proposti nello scorso autunno dal nazionalista Devlet Bahçeli, maggiore alleato nel governo dell’Akp, sedute cui ha preso parte anche l’attuale ministro degli Esteri di Ankara Hakan Fidan per molti anni al vertice dell’Intelligence, a febbraio Öcalan aveva definito lo scontro armato un retaggio del passato. Necessario alla lotta in una fase in cui la Turchia negava ai kurdi ogni diritto e riconoscimento d’identità, ma da tempo controproducente. Quel periodo era incardinato alla Guerra Fredda e al militarismo sfrenato che vedeva le Forze Armate di Ankara in prima linea nel condizionare la politica interna. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, intervenendo ieri a una riunione direttiva del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, ha sostenuto che tutti gli ostacoli sono superati: “L’organizzazione (militante kurda, ndr) sarà sciolta e inizierà una nuova era per tutti noi”. Dal suo canto Ayşegül Doğan, portavoce del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli la componente legalitaria kurda tuttora presente nel Parlamento nonostante le ripetute persecuzioni di suoi deputati tuttora reclusi, ribadiva l’arrivo d’una “decisione storica per il nostro popolo”. Tutti d’accordo, dunque, compresa l’ala cosiddetta militarista o comunque critica col pensiero dello zio Apo, come viene affettuosamente etichettato lo storico fondatore, ideologo e nell’ultimo ventennio rifondatore del raggruppamento, già prima di ridiscutere sull’uso della forza. Sue le aperture verso un federalismo creativo e comprensivo di riferimenti all’autodeterminazione, all’ecologismo, al femminismo. Occorrerà vedere quanto tollerato dallo Stato centrale e quanto praticabile nelle aree anatoliche del sud-est dove la quella comunità è maggioritaria.

Il governo di Ankara in questi mesi, inseguendo tatticamente una conclusione favorevole delle trattive, ha concesso parecchie visite allo storico detenuto nel supercarcere isolano di Imrali. C’è stato anche un incontro ufficiale che non accadeva da dodici anni, fra Erdoğan in persona e i co-presidenti del partito Dem, Sırı Süreyya Önder e Pervin Buldan, quale ulteriore testimonianza del clima favorevole in atto. Poi giorni fa l’improvviso decesso per infarto di Önder sembrava facesse slittare un percorso quasi ultimato. Ma lo stato maggiore kurdo, quello legalitario e quello tuttora bollato di terrorismo, hanno spinto per la conclusione del dibattito e per la decisione finale. Al di là di prioritarie valutazioni di strategia politica, nel mostrare i limiti dell’armatismo del Pkk dotato di sole armi leggere, è l’evoluzione tecnologica che ha reso molto meno difendibili le postazioni sulle impervie montagne di Qandil. L’uso dei droni (i Bayraktar del genero di Erdoğan) che da un decennio impazzano nei conflitti locali, la possibilità d’un controllo elettronico dall’alto e dei conseguenti assalti bellici con tali mezzi rendono la presenza guerrigliera difficoltosa se non impossibile. Pur non essendo definito in che modo i miliziani consegneranno l’arsenale c’è chi ipotizza un’intermediazione irachena e proprio nell’area di Sulaymaniyah, un centinaio di chilometri da Kirkuk, dovrebbero insediarsi i leader del Pkk in attesa di sviluppi futuri su un loro impegno politico differentemente diretto. Le masse kurde s’aspettano di riabbracciare l’ormai canuto Öcalan, sebbene finora nulla trapelato né sul suo rilascio né su quello di leader non combattenti come Selahattin Demirtaş. Liberazioni sul fronte del diritto auspicabili, per quanto il prezzo chiesto in cambio potrebbe riguardare quel ritocco costituzionale cui pensa Erdoğan per un ennesimo mandato presidenziale. Per quella corsa, con o senza Ekrem İmamoğlu, alla coalizione di governo nel Meclisi mancano i numeri da richiedere appunto ai Dem. Arriveranno con questo disarmo?
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it