Prima traccia di Massimo Faccini e Serena Viola

Faccini e Viola, in un binomio artistico come testimonia l’originale mostra che si conclude il 17 maggio alla Galleria Strasburgo a Milano

Si può dipingere anche a quattro mani? Ebbene si, lo testimonia Prima Traccia, una grande opera (200  x 180 cm) cocreata in esclusiva per Duetto pittorico in un unico atto artistico, l’originale mostra che si è inaugurata  l’8 maggio (e prosegue fino al 17 maggio) alla Galleria Strasburgo a Milano in via San Gottardo 19, sede della collezione permanente e atelier del pittore astratto-lirico, dal timbro luministico Rodolfo Viola, ideata e curata da Jacqueline Ceresoli. Gli artisti Massimo Faccini, chirurgo per scelta, pittore per vocazione in bilico fra astrattismo e figurazione di matrice post espressionista (folgorato da Willem de Kooning) e Serena Viola, autrice di libri illustrati, cresciuta fra le tele del padre il pittore Rodolfo Viola (fondatore del manifesto dell’Universalismo) hanno lavorato per molti giorni insieme, chiusi in una stanza, ascoltando musica, all’insegna della libertà espressiva per dare forma e colori a un processo di scambio empatico “per  per dare valore all’arte dell’incontro e una riappropriazione di uno spazio emozionale”, nel rispetto dell’identità e dello stile personale che ciascuno esprime con tecniche e linguaggi differenti. “Segno vitalistico dell’arte contemporanea aperta al dialogo e proiettata verso la condivisione contro la deriva narcisistiche dell’Ego. Da una stanza tutto per sé a una stanza tutta per noi”, afferma la curatrice. “E  nessuno saprà mai chi ha tracciato il primo segno sulla tela”, chiosa divertita sempre Ceresoli, storica e critica dell’arte docente all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha pensato un approccio curatoriale volto a indagare la capacità dell’arte di fare condivisione e costruire delle reti, una forza generatrice di nuove prospettive in quest’epoca caotica e contraddittoria, a cui riconoscere una responsabilità etica che troppo spesso si dimentica nella logica dell’arte-mercato. Anche il dialogo tra artista e curatore è germinatore di idee e la galleria d’arte diventa il luogo reale e concreto di questo incontro con lo osservatore.

Bufalo Blu di Serena Viola

Il percorso è un atto unico in due tempi, prima sulla tela e poi nelle sale della Fondazione Massimo Faccini e Serena Viola hanno infatti materializzato una concezione di pittura condivisa e dinamica  anche nella modalità dell’allestimento delle sale dove hanno accostato opere da loro selezionate utilizzando le pareti come una tele e i quadri al posto dei colori, tracciando fra uno spazio e vuoto e uno pieno, un ideale spartito musicale. Le opere si attirano in tensione con rimandi ed echi di colore e di materia. Un doppio movimento: fra esplosione ed implosione di colore e di gesto, secondo una logica circolare più che lineare  creando un’esperienza estetica emozionale coinvolgente per il visitatore. Faccini predilige tele di grandi e medio formato e pittura ad olio. Colori audaci. Il segno irrequieto e materico. La pennellata ampia e impulsiva, dalla corposa intensità in un travolgente moto vorticoso,  nel tentativo di dominare la tela in un gesto impetuoso e quasi irruento, per sfidare i limiti della tela bianca. Per Faccini la pittura è materia viva un organismo vivente, il colore circola sulla tela come il sangue nelle vene. La tracce materiche con la loro consistente densità impresse sulla tela sono frammenti narrativi, che contengono tutta quell’energia esecutiva sprigionata dall’enfasi creativa.

Dall’altra, il segno minimo, essenziale, una pittura di riflessione e di visione introspettiva. Le tele di Serena Viola esprimono simbolicamente i “luoghi dell’anima” ed esprimono la ricercata e raffinata armonia strutturale di forma e colore accorpati e intrecciati insieme, invitando chi guarda ad interagire e partecipare in modo diretto all’interno della narrazione con il proprio pathos introspettivo. I colori si sfumano e si interiorizzano, diventano macchie di colore,  generando un senso di calma e di sospensione disarmata.

Na-tivo di Massimo Faccini

Contrappunti compositivi. fra la pittura energetica  e quella riflessiva. Il segno irrequieto e materico di Faccini  e le macchie intimiste di Viola mi ha fatto ricordare un racconto delle Cosmogonie di Italo Calvino: con quell’inizio che ricorda l’essere o non essere shakespeariano. “Esplodere o implodere – disse Qfwfqquesto è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di se  ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi”.

L’ elemento più importante per entrambi è il colore, non solo come elementi visivo ma anche come mezzo di espressione, come risonanza emotiva. Vasilij Vasil’evič Kandinsky, padre dell’astrattismo spirituale, credeva che i colori potessero essere “ascoltati”, come suoni musicali.  E nelle sale della galleria, credeteci, li abbiamo sentiti risuonare. In particolare in due tele esposte accanto sulla parete. Nell’acrilico su tela Bufalo blu, un frammento di bellezza (50x50com) della Viola, un travolgente blu che sfuma in pennellate quasi acquarellate in toni più tenui, e nel rosso scuro delle corna: un’immagine che mescola sogno e poesia e che comunica nell’assoluta quiete tensione verso il movimento. Accanto Na-tivo, olio su tela di lino (120 cm x120 cm) Faccini fa leva sulla fisicità del colore, plasmato con irruenza, imprevedibile , dal segno dinamico e sulla forte impatto emozionale e sensoriale. Reti di strisce nere aggrovigliano le forme, il bagliore di una pennellata di rosso-arancio che screzia la bicromia dominate di bianco e nero, è come una ferita.

Una prima traccia capace di generare epifanie di bellezza, spazi di pensiero che si incontrano e si trasformano, e di gesti creativi che vanno oltre la superficie. In un gioco di risonanze e di un interscambio continuo: fra artisti, fra l’opera e lo sguardo che osserva, fra l’Io e la  comunità. Perché la propria arte, per ognuno, in fondo è la vita. In cui parole, emozioni, sentimenti, gesti, idee divengono tracce di sé. Tracce  in grado di instaurare  interazioni, relazioni.

di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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