Sembra che l’incubo sia finito. Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre il presidente Usa Trump ha annunciato che Israele e Hamas hanno entrambi sottoscritto la prima fase dello stop tra Israele e Gaza. Tutti gli ostaggi saranno rilasciati molto presto e Netanyahu ritirerà le sue truppe. La storia racconta, però, che gli accordi passati sono stati tutti disattesi
Dicono pace, forse sarà appena tregua. Col rilascio di prigionieri, i quarantotto israeliani vivi e morti, i millenovecento palestinesi rinchiusi da mesi o anni, ma non i simboli: Marwan Bargouthi umiliato dal ghigno di Ben Gvir, Ahmad Sa’adat l’ultimo marxista nelle trincee di Palestina. Con l’ingresso di viveri per i due milioni di esseri avvizziti da fame e sete. Ovviamente è festa ovunque. Fra chi spera, ma non è detto perché anche stamane dal cielo pioveva fuoco, che si blocchi lo stillicidio di morte. E che duri, non come sei mesi addietro quando durante la cessazione del piombo, l’Idf riprese a massacrare. Gioiscono a Tel Aviv i parenti degli ostaggi e pure chi potrà dare sepoltura ai cadaveri, non ringraziano il da loro detestato premier. Il merito lo prende l’alleato Donald Trump che punta a entrare nella Storia col Nobel mentre sottobraccio al genero Jared Kushner pregusta gli affari d’oro sul lembo di terra chiamato Idf Gaza, sedimentato d’antica convivenza e trasformato in colonia e poi prigione dall’equivoco modello del Novecento che è Israele. Dato da alcuni studiosi, come l’Europa sua animatrice, al capolinea (Ilan Pappé – La fine di Israele, Anna Foa – Il suicido di Israele), ma ostaggio, è il caso di dirlo, della sua presunzione di giustezza. Che non è giustizia per la gente di Palestina, contro cui anziché convivere gli ebrei del mondo convenuti dalla fine Ottocento ad affiancare i consanguinei lì stanziali, praticavano soprusi, ruberie, terrorismo. Cosa sono stati i padri del sionismo, dai laburisti Ben Gurion e Yitzhak Rabin ai non celati proto reazionari alla Vladimir Zeev Žabotinskij e Menachem Begin è descritto dalla storia novecentesca, a meno che non ci s’impone di cancellarla, sotterrarla, farla sparire sotto le bombe dell’Haganah scuola d’avvìo d’ogni “statista” di Israele. Oppure manipolarla col negazionismo che sta nutrendo le nuove generazioni degli infoiati delle colonie. Cresciute a dismisura dagli anni Settanta, epoca essa stessa di paci (1973) e poi di Accordi (1993) tutti disattesi, perché la tensione nella terra chiamata da millenni Palestina ha gettato nel Novecento semi di squilibrio e iniquità tutti rivolti a senso unico anche per mano di chi tornava in quei luoghi sull’onda degli orrori subìti. Ulteriori termini del “Piano di pace” come piace definirlo al regista Trump, che già promette a breve un viaggio fra le macerie, i temi più scottanti: il ritiro di Tsahal dalla Striscia, il disarmo di Hamas, uno schieramento bellico internazionale sul territorio, verranno tutti discussi in seguito. Probabilmente sempre sullo scenario qatarino con la presenza dei mediatori turchi, sauditi, egiziani. Resta ciascun dubbio suscitato dai ‘venti comandamenti’ imposti dal presidente statunitense alle trattative sul futuro della popolazione sopravvissuta. Come rimane scolpita l’immagine dell’immenso cimitero che il l’eterno Novecento di guerra d’una geopolitica appassionata alla morte si trascina: 1.180 civili e 700 militari israeliani uccisi, 67.000 palestinesi gazawi, l’80% civili, ammazzati. Per tacere di chi può sempre crepare per le tare di corpi sfibrati. Un genocidio in atto, hanno dichiarato giuristi internazionali, l’ennesimo di quel Novecento infinito esteso all’altrui estinzione.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
