Uddhav Thackeray

Il gruppo di Shiv Sena, guidato da Thackeray cerca di togliere terreno sotto i piedi della volata al terzo incarico avviata dal premier Modi

Non è il governatorato più popoloso ma centoventi milioni di abitanti rappresentano comunque poco meno d’un decimo della popolazione della Federazione indiana. Per questo le elezioni del Maharashtra, nel centro occidente della nazione-continente, risultano vitali per l’orientamento finale del voto. Nei mesi che precedevano l’apertura dei seggi il premier Narendra Modi è andato e venuto più volte in questo territorio, perché la sola presenza della megalopoli di Mumbai con tutto il suo armamentario economico – dalla produzione industriale agli apparati commerciali e finanziari, più il settore mediatico e la produzione cinematografica di Bollywood – ne fa il cuore pulsante di quell’India o Bharat che ha mire di potenza globale. Nella metropoli dai numeri incerti (gli odierni 22 o 25 milioni di abitanti e forse più) trent’anni addietro s’innescava la violenza etnico-religiosa che il Bharatiya Janata Party cavalca da quando è al governo, facendone il proprio vessillo.

Gruppo Hindu

A innescarla fu il partito locale dell’ultradestra hinduShiv Sena – che a lungo ha guidato questo Stato spingendo nel 1995 per l’abbandono della denominazione della capitale (Bombay) considerata un brutto retaggio del colonialismo britannico. Oggi questo gruppo punta a togliere terreno sotto i piedi della volata verso il terzo incarico intrapresa dal premier. E’ Uddhav Thackeray, nipote e figlio d’arte oppure parvenu secondo i detrattori, ad attaccare Modi. Uddahv eredita il movimento dal padre Bal che l’aveva fondato a metà anni Sessanta, il merito dell’erede è quello di aver ampliato lo spettro da una presenza regionale, per quanto in un’area pregiata e privilegiata, ad altre zone  diventando un fenomeno nazionale. Minoritario ma nazionale. E questo conta per la presenza nella Lok Sabha. I 13 seggi che si conquistano fra Mumbai, Thane, Nashik avranno un riscontro dal 20 maggio.

Nei comizi confezionati finora Thackeray è andato giù duro su questioni concrete riguardanti il lavoro. Come fosse un sindacalista ha parlato dei giovani ai giovani, quelli che iniziano la vita adulta a 25 anni e a 35 si trovano per le mani un lavoro precario, che magari li seguirà a vita o fra un licenziamento e l’altro. L’eccessiva deregolarizzazione sostenuta dal governo sull’onda del suo liberismo crea disoccupazione continua e incertezza socio-economica per milioni di lavoratori. In diverse occasioni il capo di Shiv Sena ha attaccato il governo per l’ottusa chiusura verso i diritti. Di recente la stoccata: “Modi parla sempre di mucche (l’animale sacro per l’induismo, ndr), non parla mai d’inflazione” a dimostrazione della comunicazione preconfezionata ideologicamente dal partito di maggioranza, poco attento ai problemi quotidiani.

Uddhav Thackeray

Anche sull’amata (dai reazionari hindu) teoria razzista dell’hindutva Thackeray opera distinguo, i politologi ritengono rievochi le teorie del nonno sulla purezza etnica. Il bello è che Uddhav Thackeray, che non smentisce la tradizione dinastica di famiglia e in queste elezioni lancia suo figlio Aditya, nel Maharashtra conduce l’alleanza India, il cartello degli oppositori al Bjp voluto dal National Congress di Rahul Gandhi e incentrato su forze progressiste e socialiste. Cosa ci faccia lì l’estremista hindu dello Shiv Sena, è un palese controsenso. Passino le tattiche elettorali, ma gli attivisti di questo movimento marciano inquadrati come i ‘volontari nazionali’ del Rashtriya Swayamsevak Sangh, pronti ad aggressioni e violenze contro gli “indiani impuri”. Sono tutte organizzazioni fasciste e razziste del fondamentalismo hindu, da cui proviene anche Narendra Modi. Fratelli d’India per meglio dire del Bharat, la denominazione hindu di quel Paese che i militanti amano. Le immagini delle loro nuove reclute che apprendono il saluto paramilitare, non a braccio teso ma con la mano destra orizzontale sul cuore, parrebbero simili a quelle di boy scout inoffensivi anche un po’ goffi. Poi però gli squadristi maturano, ricevono bastoni, pugnali, pistole, irrobustiscono tecniche d’assalto e assassinio verso gli indiani di altre fedi. Se per guidare la Federazione indiana o un suo Stato i loro leader s’insultano, per liquidare “infedeli”, bruciargli casa o negozio, diventano sodali.  

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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