Al Gerolamo le attrici Monti e Gionta hanno portato in scena la commedia “Preferirei di no” della Brancati e la regia di Giordani

Un duello psicologico al femminile intenso e senza sconti, Un corpo a corpo a volte leggero, a volte doloroso, a volte anche rabbioso su quel rapporto madre-figlia che non smette di interrogarci. Teresa, la madre, colta, indipendente, schietta fino alla durezza, rigorosa eppure dotata di un sottile senso dell’umorismo, e non disposta a tollerare i compromessi, le bugie e le falsità. La figlia Diana, invece, diventata una donna cinica e arida, come il padre, un importante uomo politico a cui è legatissima, forse proprio per voler essere diversa dalla madre. 

Ironico e graffiante, la commedia Preferirei di no andata in scena al Teatro Gerolamo di Milano per la regia di Silvio Giordani. Autrice del testo, Antonia Brancati, figlia dello scrittore Vitaliano Brancati e della grande attrice Anna Proclemer (scomparsa nel 2013) che ne fu la prima interprete nel 1995 nel ruolo della madre. Ma non è un tradizionale scontro generazionale tra una madre e una figlia (che pure in diversi momenti viene fuori) ma un irriducibile contrasto su opposte visioni della vita, sul fondo di una spietata analisi del cinismo del gioco della politica senza morale. Sul palco, una sorprendente Ivana Monti (la madre) e una convincente Maria Cristina Gionta (la figlia) sono riuscite a costruire partiture vocali precisissime, ricche di ritmo e variazioni, fra battute ironiche e parole affilate come coltelli.

All’apertura del sipario, nella cucina-tinello di una casa isolata di campagna, una donna un po’ trasandata entrata nella grande età in grembiule, affetta ortaggi e parla tra sé e sé come succede a chi vive da solo, imponendosi “ordine e disciplina”, fingendo di crederci.  Fuori piove incessantemente, il telefono non funziona per un guasto sulla linea, la luce va e viene. Teresa (questo il suo nome) si è ritirata da tutto e da tutti, in fuga dal suo passato che tuttavia sa bene di non aver cancellato nella fatica che le costa vivere, cercando di imporsi ordine. Teresa (lo scopriremo più avanti) ha trascorso diversi anni ricoverata in una casa di cura per malattie mentali, dopo aver sparato contro il marito, apparentemente per gelosia, ma in realtà per esasperazione, per disillusione verso un uomo che si è mostrato traditore seriale e uomo politico corrotto, privo di senso morale.

L’arrivo di una giovane donna, che sembra voglia ripararsi dalla pioggia, scompiglia fragili equilibri faticosamente costruiti. A farle una visita inaspettata è la figlia Diana, in tailleur aderente, tacco dodici, manager cinica e pragmatica. E’ da tempo che le due donne non si incontrano, tanto che all’inizio neanche si riconoscono.  Seguendo il consiglio del curatore dell’immagine del padre, candidato alla Presidenza del Consiglio, Diana vuole convincere la madre ad accettare di essere intervistata per contribuire alla creazione di una rassicurante quadretto familiare al fine di conquistare le simpatie dell’elettorato, soprattutto quello femminile.

In un continuo duello di parole e di sguardi, madre e figlia si stuzzicano, si mettono alla prova, si confessano. E come un fiume carsico, affiorano incomprensioni e mancanze, rabbie, rancori, fragilità irrisolte. E se sembra esserci un iniziale tentativo di avvicinamento, progressivamente si constaterà un’ineluttabile lontananza. Teresa guarda la figlia con sgomento perché rappresenta e incarna tutto quel mondo di apparenze e ipocrisia, dal quale lei è voluta fuggire. Sul viso di Diana passano risacche di rancore verso la madre che accusa di non avere compreso il marito e di averne addirittura desiderato morte. Esemplare la scena nella quale le due donne piegano le due lunghe lenzuola e dove ciascuna delle due tira con forza verso di sé l’estremo che ha in mano.

Si arriverà al rifiuto da parte di Teresa di concedere l’intervista con il Preferirei di no. Per non venir meno alla propria dignità come forma di affermazione della propria libertà. Un no che si fa materia pesante per Teresa, perché contiene tutti i suoi sogni infranti, i soprusi subiti, gli sforzi per adeguarsi, ima anche il doloroso rimpianto per gli affetti della sua vita (marito e figlia) che ha lasciato e perduto. Ma anche la libertà ora, finalmente, conquistata. Insieme alla leggerezza dell’ironia. E la figlia capisce. Diana deciderà di andarsene senza l’intervista e senza una reale riappacificazione.

Eppure alla fine, sull’uscio della porta di casa, al momento dell’addio, che sembra definitivo, succede qualcosa, come il sobbalzo di un sentimento più profondo sfuggito al controllo. “Ciao mamma”, dice Diana, sottolineando la parola mamma. Arrivando forse a comprendere la decisione della madre. Ricordando quel momento in cui, con una carezza e uno sfioramento, tanto tempo prima, si sono sentite forse per la prima e unica volta vicine, complici, semplicemente madre e figlia, senza più timori né gelosie, né rancore.  Si, ci piace pensare che quel “Ciao mamma”, non abbia i connotati di addio, ma sia come una porta laterale che per un attimo si apre lasciando filtrare luce. Diana non è riuscita ad ottenere da Teresa, che era venuta a chiederle, ma fra le due donne forse nascerà, sta già nascendo, una nuova comprensione che, in futuro le porterà a ristabilire il rapporto dopo un duello spietato che, pur inframmezzato da battute che strappano la risata, ha sicuramente scosso il pubblico. A dare un grande spessore a tutto lo spettacolo è stata senza dubbio l’interpretazione di una strepitosa Ivana Monti. A questa grande attrice (formatasi al Piccolo Teatro di Strehler), basta un gesto, anche una sfumatura di voce, per riempiere di verità e di emozione la scena: quando improvvisa un passo a due con una scopa, nel piegare i lenzuoli puliti, prepara una torta, quando dalla scatola di foto riemergono i ricordi del passato. Convincente la Gionta che ha saputo esprimere gli impercettibili cambiamenti di un cuore, diviso fra desiderio d’amore e rabbia. Non era facile. Visto il suo personaggio (diciamolo fin troppo stereotipato) che si presenta antipatico da subito, Buona la scelta registica di inserire il sax dalla barcaccia, il palchetto posto immediatamente a lato del palcoscenico, del bravo Vittorio Cuculo a stemperare la tensione.

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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